Trisobbio, pur essendo un piccolo borgo, può vantare un lungo passato, sia facendo riferimento alla storia documentale che alle leggende che circolano sul territorio.
Per raccogliere queste informazioni, da fonti diverse e presentarle in un modo organico, vogliamo partire dallo stemma comunale:
Lo Stemma:
Lo stemma di Trisobbio è stato realizzato negli anni 70 del XX secolo, e poi ufficialmente approvato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 1296 in data 29 marzo 1982.
Ancora oggi vi sono Comuni privi di un proprio stemma, dato che nei secoli, sopratutto nel medioevo, solo le grandi città e i centri particolarmente importanti utilizzavano un proprio stemma o proprie insegne, mentre nella maggior parte dei centri abitati ci si rifaceva allo stemma del signore feudale, che con il suo sigillo garantiva l’ufficialità degli atti.
In altri centri il ruolo di garante veniva assunto non dalla autorità temporale, legata all’impero, ma dalle figure religiose (Vescovi, Abbazie, Conventi) cui il borgo apparteneva.
Lo stemma è quindi sormontato dalla corona di comune, che secondo le regole appare come una cerchia di mura aperta da quattro porte cordonate (visibili tre) di cui due sui margini esterni.
le porte sostengono una cinta di mura con nove archi (sedici in totale), ciascuno sormontato da merli a coda di rondine (alla ghibellina), il tutto d’argento e murato di nero.
La parte Superiore
La parte superiore dello stemma vero e proprio è composta da una fascia con tre settori, ciascuno dei quali ospita uno stemma, indicando le principali famiglie / realtà a cui il paese è appartenuto.
Partendo da sinistra, abbiamo quindi:
Lo Stemma della Città di Genova, cui Trisobbio appartenne per oltre un secolo;
Lo stemma degli Aleramici, Marchesi di Monferrato che che furono signori per 259 anni e che richiama altresì il legame storico e geografico al Monferrato;
Lo stemma della famiglia genovese degli Spinola, che tennero il paese con titolo marchionale per 263 anni.
La parte Inferiore
La parte inferiore dello stemma è diviso in due sezioni:
Nella parte sinistra, vi sono tre plinti, che in araldica assumono il valore di mattoni e fondamenta, indicando costanza e stabilità di ciò che si crea, che rappresentano i tre leggendari fondatori del borgo.
Il colore argento indica temperanza, concordia e sobrietà, quest’ultima la qualità identificativa dei fondatori.
La parte destra invece riporta un borgo fortificato, ricordando l’antico “Castrum Trexobrii” e le due porte richiamano quelle che, nei secoli passati, davano accesso al borgo murato da oriente ed occidente.
Infine il colore azzurro che campeggia sulle due partizioni maggiori dello scudo è indice di fedeltà alla patria, perseveranza nel lavoro proficuo ed un voto di speranza
La Leggenda
Il Monferrato è una terra di castelli, testimonianza di un territorio di confine, dove ogni centro abitato era affidato ad un nobile (e talvolta spartito tra più di essi) e quindi il “castello” o comunque il borgo fortificato indicavano l’interesse del signore per quel territorio.
E di conseguenza, dove ci sono tanti nobili, ci sono anche tante dispute, contenziosi ma sopratutto anche la necessità di far risalire i propri diritti a tempi precedenti, fino a figure mitologiche.
Aleramo e il Monferrato
Aleramo è un esempio di figura in parte storica e in parte leggendaria.
Dalle fonti storiche sappiamo che ottenne i primi territori nel 933 e poi nel 955 ricevette ulteriori terre nell’attuale provincia di Alessandria, diventando marchese nel 958.
Alcuni anni dopo, si scontrò con il re d’Italia, Berengario II, suo suocero, appoggiando il re dei Franchi Ottone I e ottenendo nuovi territori verso le Langhe, il Tanaro, l’Orba e il Mar Ligure.
La leggenda viene riportata per la prima volta nel 1334 da uno storico domenicano di Acqui Terme e poi diffusa da Giosuè Carducci nell’opera Cavalleria e Umanesimo.
Al netto delle diverse versioni, che verranno riproposte con le diverse versioni, la leggenda narra che Aleramo e la figlia Alasia di Ottone I si incontrarono mentre lui prestava servizio nell’esercito di Ottone I, poi fuggirono insieme su cavalli rosso (lui) e bianco (lei). Colori che divennero lo stemma della dinastia degli Aleramici.
Successivamente, raggiunti da Ottone I, Aleramo ricevette, vuoi per benevolenza, vuoi per il servizio reso sotto le armi “i territori che percorrerai cavalcando”. Secondo alcune versioni la cavalcata doveva essere ininterrotta usando 3 destrieri, secondo altre invece doveva concludersi entro 3 giorni e 3 notti.
Durante la cavalcata, il cavallo perse un ferro e Aleramo, utilizzò l’argilla (quella per fare i mattoni) per sostituirlo o, secondo altre versioni, come “martello” per fissarlo nuovamente.
L’uso del mattone (in dialetto “mun”) per ferrare (“frà“) il cavallo diede il nome al territorio “munfrà” da cui l’attuale Monferrato.
Una versione dice che durante la cavalcata Aleramo raggiungesse il mare, in una località che ricevette il nome di Alassio, dalla Moglie di Aleramo, Alasia
I Tre Sobrii
Le Origini di Trisobbio invece sono legate ad un’altra leggenda, che narra come vi fosse un gruppo di persone che attraversarono il territorio dell’attuale Monferrato, forse in fuga o alla ricerca di territori nuovi.
Nel corso del viaggio, dal gruppo originario si staccarono diverse figure, ciascuna delle quali avrebbe dato origine e il nome ad un insediamento.
Trisobbio sarebbe quindi fondato da “tre uomini sobrii” = Tres Sobri, fratelli di sette uomini ebbri che si fermarono a poca distanza, fondando il centro di Strevi.
Da questa leggenda nasce il nome, che si trova con diverse grafìe nel corso del tempo:
-1040 Trexobolo
-1202 si aggiunge anche la grafia Trexoblio
-1280 compare la forma Trisobio
Il Prof. Geo Pistarino, dell’Università di Genova, ha avanzato l’ipotesi che borgo sia di origini Etrusche, lingua da cui deriverebbe il suffisso TAR, presente nel nome dialettale del borgo, Tarsobi
La Storia
le prime tracce del nostro borgo si trovano in un documento che si può datare tra il 1023 e il 1033, in cui Dudone, Vescovo di Acqui, assegna la chiesta di “Santo Stefano in Trisobbio” ai possedimenti del Monastero di San Pietro, ai limiti della città.
Già nel 1200 sono presenti diversi atti notarili che citano Trisobbio sia indirettamente (presso la curia di Acqui era in servizio un notaio “Giovanni del Castello di Trisobbio“) sia direttamente come ubicazione delle proprietà immobiliari che venivano cedute.
Nel 1283 viene redatto un atto per terreni “in posse Trisobii“, indicando che il territorio era sotto l’autorità locale di un comune, identificato spesso in altri atti tramite i due rii che percorrono le valli che fiancheggiano l’abitato, il rio Stanavasso (la valle in cui si trovano le piscine, il complesso polisportivo e il percorso verde) e il rio Budello (lato opposto del borgo.
Nel medioevo il borgo dispone di un proprio sistema di pesi e misure, mentre l’uso del tortonese come moneta dimostra i commerci e i legami con Tortona, porta verso i territori della Val Padana.
Sfruttando la via Aemilia Scauri (che passa da Acqui Terme fino a Vado Ligure) e la Valle Stura (territorio oggi attraversato dalla A26 e dalla Ex SS 456 “del Turchino”) i trisobbiesi potevano raggiungere il mare e la città di Genova, dove alcuni atti attestano che possedessero delle proprietà.
Come visto all’inizio della pagina, parlando dello Stemma, il Borgo di Trisobbio passò dai marchesi aleramici fino agli Spinola, a seguito di sconfitte, accordi, doni. Da notare che spesso non era l’intero borgo a passare di mano, ma solo parte di esso (metà, un quarto…) fino ad arrivare al 1390 in cui il comune è diviso tra i marchesi Malaspina infeudati dal comune di Genova (Giacomo q. Tommaso e Antonio q.Antonio q. Tommaso) di due terzi di Trisobbio, mentre il loro parente Tommaso q.Isnardo Malaspina era già marchese del rimanente terzo.
Tra il ‘500 e il ‘600, esauritasi la dinastia dei Malaspina, il titolo di signore venne venduto dai Gonzaga (infeudati dall’imperatore Carlo V) alla famiglia degli Spinola di Genova.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Trisobbio
- http://www.storiadiovada.it/art091.html